Categoria: parole in libertà

Solo

Pittura personale

E poi tutto si è fatto quiete e silenzio, vuoto e solitudine. Mi sono guardato attorno: il gatto dorme sul bracciolo del divano, stoviglie della colazione da lavare ammucchiate nel lavello, stordimento dato dal sonno latente. Mi trascino da una stanza all’altra e realizzo pienamente che son rimasto solo. Gli ultimi giorni di preparativi, un crescendo che mi ha coinvolto fino allo stordimento e poi, improvvisamente, più niente, più nessuno. A casa ci sto bene, libero di farmi gli orari, di mantenere le abitudini, di annoiarmi mortalmente perchè potrei non avere niente da fare (ma trovo sempre qualcosa per impegnarmi, per imparare cose nuove, per meravigliarmi). Nel lettore cd dell’impianto stereo un bel disco dei Genesis prima maniera, anzi, è il loro primo disco, sparato dalle casse in tutto l’appartamento come non facevo da tempo. Che gioia, che emozione, si accompagnano a che malinconia, che desolazione, ma è così che funziona, tutto è regolato dalla simmetria. Anche noi, esseri umani, siamo sempre combattuti tra il positivo ed il negativo, e facciamo grandi spettacoli per cercare di rimanere in equilibrio nel grande circo della vita. Dentro di noi grandi forze ci guidano, inconscio e coscienza, archetipi, simboli, immagini primordiali. Ho finalmente trovato dei buoni libri di Carl G. Jung. Sto leggendo Psicologia e Poesia, l’ho trovato proprio delizioso, meraviglioso, incredibile, stupefacente, coinvolgente, insomma mi è piaciuto ed è stato proprio rivelatore. Che persona magnifica Jung. Ne ho altri in attesa, già acquistati e giacenti sul tavolo, tutti dello stesso autore: Un mito moderno,le cose che si vedono in cielo; Psicologia dei fenomeni occulti; La psicologia dell’inconscio. Il reparto psicologia della libreria è meraviglioso, credo che ci tornerò presto. In questi giorni vivo anche un po’ di frustrazione perchè impossibilitato a godermi la volta notturna, il cielo stellato in questo periodo è spettacolare per le stelle cadenti ma in città c’è troppa illuminazione, non si vede niente, e c’è anche la luna piena. Alzo gli occhi al cielo e non vedo niente, a volte una stella, una sola, che tristezza, sembra impossibile. Vorrei essere in un posto buio, isolato, deserto, perdermi nella moltitudine dello spazio, perdere la ragione e la conoscenza. Questa vita è proprio deprimente a volte.

11 agosto 2011

E se…

Disegno personale

Come sempre si sedette davanti al computer, le mani sulla tastiera, piccoli movimenti delle dita trasformavano i suoi pensieri in frasi … in sottofondo parole e musica di due cantanti donne che si alternavano all’infinito con le stesse canzoni. Era il momento del riposo, l’attimo che conclude il giorno, nel particolare un giorno faticoso e stressante che gli aveva regalato un forte mal di testa ed un nodo allo stomaco che sin dalla mattina lo torturava… pensieri, voci, frasi, parole, tante parole ascoltate, dette e richieste per ipotizzare il probabile futuro possibile. Si chiedeva come avrebbe potuto dirle ciò che gli era accaduto senza rattristarla, senza sciuparle l’attimo sereno… stava per perdere il lavoro, l’aveva saputo quella mattina ed era stato come ricevere una mazzata, nessuno si aspettava quella soluzione così drastica che metteva in dubbio il futuro di tante persone. Per lui non c’erano problemi, almeno non per il momento, ma pensava a chi aveva i figli piccoli, i mutui da pagare, tanti impegni presi che ora si trasformavano inevitabilmente in trappole. La voce della cantante l’accarezzava e lo tranquillizzava ma ancora non era riuscito a rilassarsi, vedeva avvicinarsi quell’orribile ed enorme punto interrogativo che proveniva dal futuro, infido e sinuoso come un serpente e si sentiva in obbligo di porsi ancora fiumi di domande senza risposta, voleva trovare il conforto di una spalla su cui posare il capo, chiudere gli occhi e finalmente riposare, cancellare questo incubo che lo teneva sveglio mentre i suoi occhi tristi si specchiavano sulla tastiera, pensando di posarle il capo sulla spalla, chiudere gli occhi e finalmente dormire, ma forse questo era solo decadente romanticismo indotto dall’altra canzone che ancora sentiva in sottofondo, comunque sia infilò la lettera dentro la bottiglia vuota, la sigillò e la gettò nel mare.

10 marzo 2010

C’è un tempo

Disegno personale

C’è un tempo per la semina, c’è un tempo per il raccolto, e purtroppo c’è anche quello della malattia che prima o poi ci prende tutti quanti in vari modi. Tutto è vita, comunque, anche se non bella. Mi dispiace tanto, che altro dire se non parole di circostanza, altro non so. Quest’anno non va bene, vero? Altro che profezia dei Maya ma forse è l’anno bisestile, a qualcuno bisogna pur dare la colpa per esorcizzare le proprie sventure. Speriamo tutto riprenda ad andare per il verso giusto. Avrei voluto scrivere qualunque cosa ma aspettavo di sentire l’ispirazione. Adesso eccomi qui a raccontare in modo criptico come ho passato questi tempi strani nei quali ho pensato molto, più del solito, perchè usare la mente mi fa sentire migliore, pensare, riflettere, ovviamente a ciò che m’interessa veramente. Che sensazione incredibile, sento viva la crescita interiore solo addentrandomi dentro le parole. Le mie pagine sono immagini, immagini della natura, quadri, opere d’arte, sogni, visioni, richiami ancestrali, mandala, frattali, petali di fiori, ricorrenze, infiniti ritorni, attimi in cui la ragione perde il proprio senso ed i sensi acuiscono la presenza di altre dimensioni. In quei riquadri mi addentro, percorro sentieri di buio e di luce, il sopra ed il sotto non hanno senso come tutti gli opposti possibili, è sempre una unione, un tutto in cui perdersi, acque in cui bagnarsi per rinascere da nuove madri, ogni volta come la prima. Ho fatto questo negli ultimi giorni, costringendo il tempo libero a seguirmi in un cammino alquanto astruso ma costruttivo, ancora non son giunto alla fine ma poco ci manca, anche se confesso di aver barato un po’ e di aver corso gli ultimi metri per giungere primo alla meta. Prima io di me stesso, una corsa dove sono l’unico partecipante, ma sono anche tornato sui miei passi, con salti temporali che hanno dell’impossibile, per ritrovare tracce di me che ancora chiedevano aiuto, parole che allungavano le proprie braccia imploranti, frasi zoppe, storpie, che sono riuscite ad attirare la mia attenzione, per essere riscritte ex novo, in ampliamenti circoscritti ma concentrici, in cui ero sempre io il centro. Dio è un piccolo punto al centro del foglio bianco, il buco lasciato dall’ago del compasso. Il resto siamo noi, punte di grafite, circonferenze d’ogni dimensione, infinite, infinitesimali. Tutti stiamo all’interno del foro. Sto meglio, anche se lievi strascichi mi costringono a solitarie esibizioni di tosse. Sono a stretto contatto con i miei familiari, i genitori, il fratello, anche se questo insieme di persone forma un manicomio, un circo, un ospizio, una banda musicale, una farsa, un dramma, un sorriso, una carezza, un po’ di tenerezza, ma anche di paura. Quella di vivere, quella di morire, quella di esistere, quella del futuro, quella di avere paura, non si può amare per forza, solo per pensare positivo, a volte è bene cadere, graffiarsi, farsi male e risorgere attraverso una cura profonda, che amare la superficialità vuota della ragione. Meglio la follia pura che ha il suo modo di esistere, ma d’altronde siamo tutti un po’ folli, anche se tanti se ne vergognano e cercano di dare un senso all’esistenza umana, attraverso l’insegnamento di modi di comportamento falsi e propagandistici. Sai che son sempre contro. So di essere nel giusto e tanto mi basta ma ci sono momenti in cui lo sconforto abbatte in un soffio le mie pareti di certezze apparenti, le credevo certe, radicate ma poco dopo non ci son più. Poi il sole ritorna dal suo viaggio nelle tenebre, energia che ritorna, che si sposta incanalandosi nelle giuste vie. Tutto è a posto, non disperare, verranno tempi migliori ma non potrai mai farmi cambiare idea: il lavoro rovina la vita, inutile prendersi per il culo e non solo quello. A volte non ho proprio voglia di fare niente d’impegnativo ed allora cazzeggio su internet che, bene o male, è diventato lo specchio di me stesso dove rifletto la mia anima ed i miei interessi multipli che a dir bene non interessano a nessuno, ma non importa se non ho una folla ad acclamare, meglio pochi e boni o addirittura soli che male accompagnati. La mente che ha guidato questa stesura sta esaurendosi… mi spengo.

4 aprile 2012

D’animo futurista

Disegno personale

Ti lasci andare alla poesia, ti abbandoni all’immaginazione, ti abbracci alla realtà d’un sogno e poi ti ci tuffi tutta intera, mi prendi per mano, mi trascini con te, belle immagini, belle sensazioni, sei tu il poeta stasera e mi stupisci con l’idea di fare casino col silenzio, al pari di fare arte raffigurando il vuoto e poi ti arrendi, fai marcia indietro, scagli il sasso e subito nascondi la mano, anzi neghi d’averlo mai pensato, t’ho beccata ancora a fare questa cosa, t’ho beccata di nuovo col sasso nella mano ed il pentimento nella testa. Ma guarda che parole hai scritto, comprendo lo stato d’animo e la poesia, ma non avere paura di pensieri belli come questi, non aver timore di far male con quel sasso, hai sempre la possibilità di non colpire il bersaglio. Stasera invece l’hai colto, m’hai preso dritto in fronte e sto sanguinando, sento qualcosa di caldo colare giù, attraversarmi il viso. Non provo dolore ma rabbia per avermi colpito ancora con la tua fuga precipitosa. Dai, non avere paura, affrontami, scagliarne un altro, fallo più forte che anche la tua poesia è bella. Ho l’animo futurista stasera, ho voglia di gridare, voglia di volare su nel cielo e di precipitare, voglia di schianto fragoroso, di ammasso metallo-carne, sangue-olio, cervello-motore, voglia di amare un pugno che mi rompe il naso, voglia di poetare col mitra nella destra e la bomba nella sinistra. Alla prossima rivoluzione, al prossimo sasso: tirato o ricevuto, alla prossima rivoluzione e alla prossima fuga! Amore forgiato da lacrime e sangue, vorrei essere un insetto per vedere la tua faccia quando leggerai e mi sto divertendo un mondo a provocarti, a prenderti per le spalle e scuoterti, oh come vorrei vedere quell’espressione, come vorrei quantificare la tua preoccupazione per questo che altro non è che uno scherzo di cattivo gusto. Accidenti, l’ho fatto anch’io, una mano scrive sulla tastiera mentre l’altra nasconde il sasso, io no, io non son stato, no, io no, non l’ho tirato, ma come puoi pensarlo. Ou revoir ma cherie, m’inchino ondeggiando il cappello, sventolando quelle piume come un pavone che si fa bello, come uno stupido tacchino che si pavoneggia, eccoti la mia rosa, ecco il mio sigillo.

6 dicembre 2010

E così

Disegno personale

E così ho lasciato che la tristezza mi accarezzasse con la sua gelida mano invernale, che mi trasformasse in una sorta di zombi, privandomi di tutto e lasciandomi vuoto come un guscio. Forse sono morto. Vedo la vita ma non la sento mia, non mi appartiene più. Viandante perso ai confini del tempo. Creatura divina scacciata dal paradiso terrestre. Potrei allungare l’elenco e l’agonia all’infinito. Qualcosa mi ha sconvolto, un sogno, un ricordo, un’amica perduta e ritrovata quando aveva un’età più giovane di quando l’ho conosciuta. E’ il sogno ed in esso l’ho riabbracciata dopo tanto tempo. Un tempo che invece non ha smesso di fluire nella realtà. Non la incontrerò mai più. Chissà. Ancora un giorno, attimi sprecati ad inseguire i desideri altrui ma nessuno si occupa/preoccupa di me. La notte seguente ho finito il libro che leggevo da un po’, la sua fine coincideva con la morte della protagonista, lo sapevo, era ovvio in una biografia, però il modo o l’essermi impersonificato mi hanno segnato interiormente/inconsapevolmente. Poi ho dormito un sonno tumultuoso carico di pensieri ed alla fine di quel non sognare ho sperimentato la morte: la mia. L’ho immaginata nei minimi particolari e mi son trovato col fiato in gola, sull’orlo del baratro, sapendo che non avrei avuto scelta e che dovevo fare quel salto. Che l’avrei fatto comunque, anche se non volevo. Il corpo si ribella davanti alla paura irrazionale ed anche la mente, ora incapace di ragionare. Da allora sono stato ossessionato dalla morte ed ogni persona che cade nel baratro si porta dietro anche me con una tortura che non ha mai fine. Ho provato a mantenere il silenzio. Ogni giorno che passava invece urlava di te, sapevo che aspettavi mie parole, che aspettavi me ed io non potevo farlo, non ne avevo volontà. L’effetto del nuovo anno si è fatto sentire. I mesi peggiori sono questi. I nuovi inizi, le novità fanno paura. Non sono mai pronto al rinnovamento. Ed ora che dire? Sono vuoto come un hard disk formattato per dirla in termini tecnici. Vuoto come un neonato appena venuto alla luce e non so da dove iniziare. La vita è stata tutto un fallimento, senza prospettive, il futuro è una nebbia impenetrabile ed inimmaginabile. L’insoddisfazione ed il disagio sono grandi, pari al vuoto che svuota. Eccoti l’interiorità, la parte più segreta, quella che solitamente non si mostra che a se stessi. Maneggiala con cura, potrebbe rompersi.

PS:
Quando lei disse di sentirsi sull’orlo del baratro, lui le disse che anche gli uccellini nel nido hanno il terrore di lanciarsi nel vuoto la prima volta. Ma è così che riescono a volare!

13 gennaio 2013

Senza senso

Disegno personale

Tante domande poche risposte

Nebbia, fumo, legna pregiata, fiamme, acqua, morte. Tante domande poche risposte. Spira d’aria o di serpente, simbolo diabolico, amo le righe parallele e convergenti, i punti interrogativi, gli esclamativi vanno bene infissi nel culo del nemico. Lance incrociate, teste ridotte, rimpicciolite, la ragazza dalle lunghe gambe cavalcava sui miei passi futuri, quando la incrociai era già nel mio passato, piede nella pozzanghera, colpo di chitarra, risata demoniaca, ululato, urlo, pianto, corredo emotivo a disposizione. La posizione risveglia i sensi e spenge il sentimento. Bramosia, possesso, pulsione atavica, illusione di vita, l’eremita ha sempre ragione. Chi è solo gode dei frutti di se stesso e si eleva. Mani nelle tasche, incedo traballante verso un corpo da vecchio, finito, nota strillante affermo il rimpianto. Mi prendo per mano e mi accompagno, cado tra le rette parallele, posso andare solo all’infinito, prigioniero delle regole, libero da tutto e tutti volo alto, nessun altro sopra di me, sono imputato e giudice, dottore e paziente, nessuno di tutto questo perchè il mondo cui appartengo non è di questo mondo e rifuggo la società attuale nella quale non riesco a riconoscermi. Tutto il resto è gioco. Scorre l’indice sul contorno della tua anima ed in essa sprofondo, come il fantasma attraversa il muro sono entrato in te e ti ho attraversata. Mi son ritrovato cambiato e passato oltre. Non ti ho più incontrata ma la tua anima è ancora qui, se la rivuoi. Cadono d’oro le pagliuzze dal cielo fin tra i capelli, quelli che tessi ogni giorno con pettini d’argento e avorio. L’immagine nello specchio ti ricorda in maniera impressionante, sei tu quella che conosco bene. Come sono stato stupido! Prendere l’amore per i piedi e sbatterlo per terra fino a farlo sanguinare, fino a vederlo esanime, spirare. Gli occhi, la stessa espressione di un cespuglio visto attraverso la mente di un bambino. Lo stesso concetto, quasi un’idea che svela il suo essere normalità. Perchè perdiamo tutto ciò? Rimane lo sguardo vuoto di significato. Voglio rotolare un po’ delle mie pietre e fartene dono. Voglio rotolore come una pietra e diventare ghiaino, piccolo, molteplice, di quello che quando entra nelle scarpe impedisce il cammino. Dispettoso come un minuscolo sassolino nella scarpa.

27 gennaio 2013

Per un paio di baci sulle guance

Disegno personale

Col viso nei tuoi capelli ti bacio due volte, una per lato, le guance si sfiorano come a ignorare la bocca che scivola di lato ad ogni passaggio. Quei fili sottili si agitano e mi solleticano il naso e la faccia per una frazione di secondo interminabile, assaporo il tuo profumo, quella pelle che sa di te e di spezie. Salutarsi col doppio bacio è un rituale dei sensi e nei sensi m’inebrio guardando la linea sinuosa delle orecchie, il collo che s’inclina per farmi posto ed io che lo bacerei, invece dell’aura che ti circonda. Ti guardo e riprendo il sorriso cominciato da lontano, quando eri ancora piccola e lo finisco insieme al tuo che t’illumina il viso e ti fa brillare gli occhi. Ancora non sai quante volte ti rivedrò nella solitudine della notte buia, con quello splendore dipinto sul volto a colorarmi l’anima. Ci sono momenti vissuti con semplicità che si stampano per sempre in noi diventando ricordi indelebili ed appigli sicuri su cui far affidamento, quando la vita ci sorprende nello sconforto o nell’apparente solitudine dell’allontanamento. Ero arrivato da te, l’avevo promesso, approfittando dell’occasione proficua per salutarti, starti vicino o solamente per quello scambio di baci memorabile. Jeans e maglietta contro il tuo bikini, il mio servizio militare contro le tue vacanze, la mia alienazione contro il tuo calore o chissà, viceversa? Ma che importa, eravamo li a sorriderci, siamo qui a parlarci, a raccontare di noi mentre camminiamo lentamente verso l’ombrellone o la riva del mare. Torrenti di sabbia si riversano nelle mie scarpe da ginnastica mentre i tuoi piedi scalzi danzano con miliardi di quei granelli che diventano acqua di mare, ed avanzano e si ritirano come le onde al ritmo del loro rumore infinito.
Oggi il mio ricordo quotidiano era questo, appena affiorato dalle profondità oscure del passato o della memoria, anche se mi viene il dubbio di essermelo inventato. Se non ti avessi ritrovata sicuramente oggi penserei di averti immaginata, perchè a volte mi pare che la vita passata non mi appartenga più e che sia la vita di un altro. E’ una sensazione inquietante, come uno sdoppiamento e spero che non sia né un cambiamento, né tanto meno un abbandono. E’ da stamani che mi racconto questa storia, più e più volte nell’arco della giornata, ed ogni volta sempre più bella. Il massimo della grazia e della poesia l’ho raggiunto dopo pranzo, lungo il tragitto che mi conduceva altrove, una passeggiata in solitario dove ho liberato tutte le potenzialità del pensare. Sapevo che avrei perso tutto e che di quello mi sarebbe rimasto solo il ricordo, ma non ho saputo trattenermi e l’ho sciorinato tutto meravigliandomi di quelle parole che non ho potuto scrivere. Stasera ci ho riprovato ma sono momenti impossibili da riprodurre anche se ho voluto farlo lo stesso per dirti che sei sempre viva nei miei ricordi. Abbiamo vissuto tutti i nostri tempi, da quelli vecchi a quelli giovani, perchè il nostro tempo fluisce all’inverso, perchè quando torneremo ragazzi c’incontreremo ancora per un paio di baci sulle guance e per donarci un sorriso che c’illuminerà il viso.

5 settembre 2012

Come il ritmo di un canzone

Disegno personale

Il piede batte il ritmo ed a lui m’abbandono, dondolo la testa lentamente in alto ed in basso e poi rollo da sinistra a destra, seguo il ritmo e penso la melodia, con indosso l’accappatoio asciugo questi primi giorni dell’anno che mi sono scorsi addosso lavandomi da ogni residuo di quello vecchio, è stato un bel bagno e mi son fatto cullare dal caldo vapore dell’acqua del tempo che va, con gioia ho rivissuto ancora una volta tutta la mia vita e così farò per mille e mille volte ancora, socchiudendo gli occhi per filtrare meglio tutta quella luce abbagliante…seguo il ritmo, boom, boom, boom sul tamburo che batte, lo stesso ritmo del cuore, della vita che va, di quella che viene, ho immaginato tante cose, ne ho sognate tante altre ma i doni della realtà sono stati insperati ed impensati, forse imprevedibili anche se desiderati, oh quante cose sono accadute e continuano a succedere, come le parole di questa canzone, come la voce di questa cantante immaginaria che mi graffia la schiena evocando brividi, tanto ti ho pensata, boom, tanto t’ho immaginata, boom, boom, tanto altro ancora, ed il freddo dell’inverno morde la pelle, mi sento vivo, boom, boom, boom, i giorni già si allungano, celestiale il colore del cielo, azzurri impensabili, fredde sfumature di gennaio, cielo stellato di note costellazioni che si ripresentano e rincorrono dalla mia finestra, le vedo e penso, reminescenze di vecchi discorsi, frasi vive, boom, ritmiche come questa canzone, come le parole di questa bella canzone che non posso fare a meno di chiamare vita, di chiamare te, seguo il canto, le sue parole, la melodia che fa sognare il sognatore, pensieri, sogni, desideri, accadimenti, riflessioni, occhi rosa, chili ripresi come a provare sul proprio corpo il peso delle festività appena terminate, bei giorni, boom, boom, proprio belli quest’anno, sono cambiato, forse maturato, forse rimbischerito o forse ho solo imparato a dare la giusta importanza al prossimo, a considerarlo una parte di me, quella più esteriore, boom, e son diventato curioso, critico, indagatore, desideroso di sentire quella voce, desideroso di vedere la tua voce, boom, bom, boom e vivere l’emozione del cuore che accellera i battiti, l’emozione del rinnovo, del ritrovo, quella che ci ha sempre accompagnati e cullati colorando dell’iride la nostra vita, ancora scrivo e non mi basta, ancora ripenso alla lettera in bottiglia trasparente come acqua di sorgente, siamo puri come bimbi che giocano, come questa musica che mi ostino a chiamare vita, che finalmente sta cambiando, ancora scrivo parole per dire parole, ho sfiorato il foglio, mi son fermato davanti alla ragione, non temere i silenzi, parlano di noi lo stesso, bom, bom, boom, boom, siamo arrivati alla voce modulata, alla fine della canzone senza aver messo un punto che non sia questo.

12 gennaio 2012

Senza regole

Fotografia personale

Sono ancora qui a calpestare l’erba del prato, i piedi son bagnati di brina o pioggia, lo sguardo ebete o assonnato, ad ogni passo rifletto su quanta vita sono capace di uccidere inconsciamente. Una capriola, due, tre, mi sporco di verde, clorofilla e cellule aliene spalmate sugli abiti. Una volta vivevo in una casetta di montagna colorata dei colori dell’arcobaleno o forse era un’arnia ed io un’ape, sempre indaffarato, codificato, perso tra il polline ed il miele. Ma per me è troppo dolce anche se il retrogusto di faggio, castagno o fiori di campo non mi lasciano indifferente… il tiglio non mi piace. Venti forti, odore di polline, sono insetto o pianta, sono escrescenza legnosa o fiore profumato, sono carne, sangue, passione, meraviglia, piacere, ammirazione, svago, dolore, emozione, esaltazione, vuoto… Opera d’arte che mi ritrae, prigioniero della roccia, del marmo o del lucido acciaio, risuono come l’eco nella valle, come il gong percosso con violenza, come l’arpa accarezzata dal vento o la prua della nave che fende le onde. Guardo lontano l’orizzonte, là dove finisce il mare ed inizia il mistero, là dove si vede chiaramente che questo pianeta è rotondo… forse sono un grandangolo o sono ubriaco di saggezza, persino incapace di vedere un orizzonte piatto: il confine del mondo, e dall’orlo di quell’enorme abisso mi tuffo, novello campione olimpionico di salto nel buio. Il frastuono è impressionante, preferivo quando ero solo col silenzio dei pensieri che telepaticamente raccontavano cose: cosciente, perduto, ritrovato, incosciente, vissuto, accaldato. Rovente come una pentola di cibo delizioso, attento come il mirino di un fucile, scattante come il cane della Colt battente sul tamburo, una storia di battere e levare, un film musicale, un western, non fa differenza perché sono la stessa cosa. I fratelli Lumière, la cinepresa di mio padre, filmini super otto, sono un fotogramma, una diapositiva, una fotografia, un negativo ma che sa essere anche positivo, sono alfa e beta, gamma e delta, e poi giù, giù fino all’omega, sono inizio e fine di ogni cosa, sono mondo ed universo, sono tutto il creato, sono te anche se non lo sai, anche se non lo credi, anche se non è vero ma non tutte le bugie hanno le gambe corte o le grandi ali. Aprire le braccia e volare, aprire le braccia e ridere, aprire le braccia ed accoglierti, abbracciare l’umanità tutta, abbracciarne l’essenza… esperienza sconvolgente. Ancora una volta pensarti, farlo in libertà, a ruota libera, a mente aperta, a cavalcioni di un cavallo o di una fiera, di pegaso o d’una chimera, d’una moto o di una bici. Pedalare senza fretta… oppure correre, corrrrere, corrrrrrrrrrereeee e poi stanco, stare, sudato di pianto, sfinito, stremato da una estate torrida che mi rende prezioso. Fermarmi, pensare, evocare il tuo nome, scandirlo bene, urlarlo, sussurrarlo, in ogni forma, in ogni soluzione è vita, è presenza, è emozione, è bello. Urlarlo così forte da lanciarlo via lontano e poi correrti dietro fino a ritrovarti, fino a riprenderti, fino a ritrovare le fila d’un discorso lasciato in sospeso, fino a ritrovare la tua anima. Scandire le parole, raccontare è conoscenza, è penetrare nell’intimo, nella coscienza, nella parte segreta, quella che giace dietro la facciata e che raramente si mostra al pubblico, quella che neanche noi conosciamo. Ridere, scherzare, giocare col sole e la luna, confondere tutte le stelle, inventare le costellazioni e poi rilassarsi dietro la tazza della colazione, dietro il gusto, il tatto, la fragranza, la frutta matura e dolce, il gusto di un nuovo giorno che inizia, il gusto del risveglio, il piacere di vivere un giorno ancora, meritevole di tanta attenzione, e poi volerne ancora, e poi volerne di più collezionando settimane, mesi, anni e ringiovanire diventando vecchi, ritrovarsi nel futuro e giungere alla meta. Sognare, dormire, chiamare il tuo nome, evocarti come un sacerdote dell’antico Egitto, come un Sufi che fa la ruota, come un Druido dell’antica Britannia, come un Gladiatore dell’antica Roma, come l’arrivo di una nuova bottiglia dal mare in cui inserisco questa lettera che bene o male rappresenta tutti i silenzi che sai… poi tappo, muscoli e lancio in mare!

14 luglio 2011

Andare

Disegno personale

Forza di volontà e la stanchezza che avanza. Un occhio già è chiuso e sull’altro vacilla la palpebra, ancora poco e si chiuderà. Dopo sarà l’oblio del sonno e l’oscurità benefica del sogno.
Rimaniamo in silenzio ad ascoltare il giorno che muore, l’età che inesorabile avanza, la vita che altrettanto passa.
Avrà un senso tutto ciò?
Odo della musica indefinita, non proviene dall’esterno ma da me, quell’omino che se ne sta al chiuso e che conoscevi bene.
A volte la bellezza interiore supera la realtà.
Ma siamo reali o apparteniamo al sogno pastorale degli antichi?
Forse è un sogno nel sogno che si chiama realtà e la vita altro non è che il letto su cui dormiamo.
Stasera l’aria sa di mongolfiere, il vento soffia silenzioso come un aliante e le sospinge a colorare il tramonto.
Decisamente l’aria profuma d’aquilone, di legna bruciata, di caminetti accesi come d’inverno per la via che da Firenze a Fiesole conduce.
Osservo il panorama, la città vista dall’alto, la mia prigione, grande la tentazione di aprire le ali e volare.
Migliaia di persone han popolato e vissuto in questa valle, hanno amato, in qualche modo sono sopravvissute alla vita inclemente, poi il soffio del vento e l’aliante è passato, non c’è un pilota a manovrarlo ma una luce bruna.
Sole che t’immergi nel mar non sento il ribollir dell’acque ne veggo nubi o vapori svanire.
Il momento d’andare è giunto, ma gli anni cominciano a pesare, sulla pelle ho i graffiti del tempo e della malinconia.

04 luglio 2013