Non chiamarmi poeta, sono anti-poeta, ciò che scrivo non è poesia, ma anti-poesia. La poesia e l’anti-poesia sono contrapposte, come i segni cardinali, anche se, a ragione, allontanandosi dall’origine finiscono inevitabilmente per incontrarsi. Seguendo il nord e proseguendo nel cammino si arriva a sud, così scrivendo di anti-poesia, qualcuno potrebbe scambiarla per poesia, ma questo accade solo perchè quel lettore non si è soffermato sull’anti-poesia, ma è andato oltre, verso la poesia.
L’idea di adottare il termine anti è scaturita impulsivamente da un moto di rabbia. La cultura seleziona, separa, suddivide in classi, in categorie, in sotto specie, in perenne contraddizione con se stessa e con i frutti dell’ingegno creativo. Quindi anti come atto di repulsione, come contrapposizione, ma poi riflettendo ho avvertito che anti lo posso intendere anche come qualcosa che viene prima. Quindi anti-poesia come opposto alla poesia, e anti-poesia come qualcosa di primigenio, che viene prima della poesia. La poesia altro non è che un gioco basato sull’effettuare delle modifiche all’anti-poesia applicando determinate regole. L’anti-poesia non ha regole e può essere tutte le cose, anche poesia.
I motivi che mi hanno spinto a fare questa scelta sono molteplici, primo fra tutti la considerazione che ciò che scrivo va contro tutte le regole del gioco di abilità che passa sotto il nome di poesia. Non rispetto nessuna regola, scrivo solo d’istinto, a volte inconsciamente e mi rendo conto del vero senso delle mie parole solo quando le rileggo, quasi fossero state scritte da qualcun’altro che risiede in me. L’anti-poesia non usa parole ricercate, incomprensibili, desuete, perchè deve essere raggiungibile da chiunque la legga, senza dover andare a sfogliare un vocabolario o addirittura conoscere la vita dell’anti-poeta per comprendere le licenze non-poetiche. La poesia è imprigionata dalle regole, l’anti-poesia è libera e si governa da se, non partecipa a concorsi, non conosce editori, vive alla macchia, riservata e timida si affaccia alla vita in momenti sporadici e poi torna nell’oblio da cui è arrivata, qualche volta rimane impressa nella mente dei casuali lettori, ma poi tutto torna sempre come prima, l’acqua riprende a scorrere verso la foce, dietro di se rimane solo il letto del torrente e l’acqua non è mai la stessa.
L’anti-poeta parla spesso di se perchè lui è tutto l’universo e delle bassezze terrestri poco gl’importa, in ognuno di noi c’è tanto del male, quanto del bene, che non c’è bisogno di narrare quello degli altri, visto uno, visti tutti.
Nessuno vieta all’anti-poeta di scrivere quello che gli pare e come gli pare, anche anti-poesie che sembrano poesie, scimmiottando le regole del gioco.
Ciò che l’anti-poeta proprio non sopporta è la figura del poeta, quello che passa il tempo ad aggiustare il proprio puzzle di parole per comporre un mondo artificiale che gli costruisce attorno un’aurea sacra, solo per chi l’apprezza. L’anti-poeta scrive di getto, seguendo l’istinto e l’impulso, spesso non rilegge nemmeno quel che ha scritto e non ne corregge una virgola, perchè è sempre buona la prima, ogni correzione genera falsità.
La motivazione di questo articolo è che non voglio essere considerato poeta in nessuna maniera, positiva o negativa che sia, io sono ben altro e per questo voglio essere chiamato anti-poeta e che si chiami il prodotto del mio ingegno anti-poesia; il desiderio di ciò nasce dal disagio di trovarmi imbrigliato in una rete che mi considera nessuno o poeta, ma dato che sono qualcuno e non sono poeta, ecco sono anti-poeta.
Dopo aver scritto tutto questo mi è venuto un dubbio, ossia controllare su internet l’esistenza dei termini anti-poeta e anti-poesia, e sono rimasto meravigliato e stupito per non aver inventato niente di nuovo, ma allo stesso tempo contento e rinfrancato, perchè qualcuno ci aveva già pensato prima di me. Comunque quel che intendo io va ben oltre quella catalogazione, perchè non coinvolge solo la poesia, ma anche il poeta, il sitema editoriale, i critici letterari, etc, la mia è una liberazione da tutto e tutti.
Filippo ci ha lasciati nell’aprile di quest’anno, neanche cinque mesi fa, sembra passata un’eternità. Il vuoto lasciato dalla sua mancanza è grande, ma il suo pensiero è ancora qui, come sono sicuro che sarà ancora con tutti coloro che l’hanno conosciuto, e con tutti i fortunati che hanno avuto il piacere di ricevere da lui il dono di una recensione dei propri lavori. E’ da un po’ che mi frulla l’idea di riproporre i suoi scritti (solo quelli che mi riguardano direttamente) e lo voglio fare qui, su questo blog, anche se non è più lo stesso che lui ha visitato, con gli scritti che ha scelto e con le parole che ha deciso di regalarmi. Ho chiuso il mio blog proprio pochi giorni prima che lui se ne andasse. Quando ho aperto il nuovo, ossia questo, tutto l’universo era cambiato, e con il blog ho perduto anche la testimonianza importante della sua presenza. Consiglio la visita agli articoli originali sul blog di Filippo “Le Mie Cose | Parole in flusso” (cliccando sui rispettivi link colorati), anche perché sono completi di immagini e testi da lui scelti, qui ho riportato solamente le sue recensioni.
Inafferrabile, la creatività di Carlo Becattini è inafferrabile. Spesso irta di spine e costellata di spigoli, l’autore non cede al canto delle sirene dell’allinearsi a ciò che funziona, anzi, sovente i suoi scritti sono una provocazione alla piramide gerarchica del prestabilito e dell’omologazione. Lampanti esempi di ciò sono le sue “Escremenzialità” oppure la sovversiva “Oltre“. Ma Becattini ha una cogitazione tematica mutevole pur restando risoluto nella sua etica ferrea, passa dalla cristallina adulazione della natura di “Alba” alla narrazione dall’insolita sensualità di “Uomini e Donne“. L’autore è un caleidoscopio di punti di vista, filtrati da una gamma di nuances pressoché interminabile: come l’immagine di copertina di questo articolo, Carlo Becattini è anche eccellente disegnatore che usa la propria arte visiva a corredo dei suoi originali scritti, insomma, un creativo a 360 gradi che seguivo da tempo ma non riuscivo a catturarne un’istantanea perché colto sempre in un fermento compositivo ben radicato ed allo stesso tempo sfuggente. Seguite il suo blog… se ne siete capaci! (Filippo Fenara)
Non voglio, d’ora in poi, tranne che per i nuovi ospiti della rubrica, perdermi troppo nelle note biografiche dell’autore (per le quali vi rimando alle info del suo blog o profilo che sia), ma soffermarmi brevemente sui motivi che mi hanno colpito o fatto riflettere della poesia o racconto cartacarbonato. In precedenza abbiamo conosciuto Carlo Becattini per la sua delicatissima “Alba“, in questo frangente mi ha fatto molto riflettere questa “Prigioniero”, ovvero il sentirsi prigionieri di un corpo in decadimento o, come scrive lui, un “Involucro deteriorabile in corruzione”. Questa riflessione è tipica per chi ha una forte coscienza del sè (da distinguere dall’ego) e vive il proprio corpo come una fatiscente prigione; in quest’epoca dove il corpo è il feticcio commerciabile da curare ed esaltare a qualsiasi costo, ci sono ancora persone come Becattini che hanno sviluppato un’anima talmente estesa e vasta da sentirsi costretti e dipendenti da questo meccano in carne ed ossa. Lo stile di scrittura è da definirsi asciutto fino alla spina dorsale del concetto, l’ipnotica immagine di copertina è realizzata sempre da Carlo Becattini (Galleria – 2018 – Tecnica mista: inchiostro su carta, colore virtuale). Questa poesia è un perno attorno al quale compiere evoluzioni riflessive importanti, tutto questo grazie a Carlo Becattini. (Filippo Fenara)
Questa sera, prima di abbandonarci all’abbraccio di Morfeo, vi propongo una breve composizione di Carlo Becattini dal blog “Poesie Stralciate” accompagnate da un’immagine di copertina disegnata di suo pugno, in realtà collegata ad un’altra sua poesia, ovvero “Particelle“. “Lettere Dall’isola” è un canto in bilico tra la lettera, il poema e il racconto, è metafora della solitudine di un uomo, status che in tanti abbiamo provato negli ultimi mesi a causa della quarantena, della diffidenza reciproca indotta dal “divide et impera” e del deteriorarsi dei rapporti umani svuotati dai valori ancestrali in virtù di un fiorente mercimonio d’anime. Non mi resta che augurarvi una buona lettura ed una serena notte. (Filippo Fenara)
Il valore artistico di Carlo Becattini, per chi segue LeMieCose, oramai è appurato con certezza. E questa sera, in controtendenza con l’idiozia compulsiva dei social, vi propongo un suo racconto – a mio parere bellissimo – molto triste. Lo faccio perché ho capito dalle sue parole che non è importante ridere sempre, ma ridere consapevolmente, la soluzione ai dolori della vita non è l’intrattenimento, ma l’assunzione di verità e bellezza sotto ogni forma esse si presentino. Questo racconto ne è un esempio. Buona lettura e buona serata a tutti.
Questa introduzione vuole essere soprattutto un ringraziamento all’eccelso Carlo Becattini che, “prestandomi” spesso le sue meravigliose poesie nonché i suoi racconti esilaranti, alimenta lo spessore di LeMieCose, calamita visualizzazioni e likes e mi aiuta a portare avanti la mia utopica missione di diffusione di bellezza in questo mondo dipinto di brutture. Ora sorseggiatevi questo suo godevolissimo flusso…
Le carte carbone mi sussurrano che Carlo Becattini è sinonimo di altezze liriche sublimi (vi invito solamente a rileggere, per esempio la c.c. di “Prigioniero“) sia che si esprima per versi, sia nella sua prosa dalle nuances infinite. Quello che adoro di “Profondità” è proprio la profondità del solco che i versi tracciano nell’anima del lettore, la straziante malinconia di un addio, Becattini si dimostra domatore d’emozioni, padrone di un vocabolario vastissimo con il quale ha la capacità comunque di arrivare diretto al cuore senza troppi sofismi o vezzi da giocoliere delle parole. Non voglio essere troppo ossequioso per non edulcorare eccessivamente l’atmosfera del poema, ma vi chiedo solamente, cosa ne pensate della chiusa “Per quella bocca schiusa dove il riflesso della luce giocava a rincorrersi sulle labbra lucide”? (Filippo Fenara)
Adoro quella ricerca della semplicità, quel voler essere goccia di un mare, quel non ostentarsi cercando di distinguersi a tutti i costi, quell’utilizzare il suo aureo talento per arrivare a contatto con l’elementare ma irrisolvibile enigma della permeabilità delle anime sensibili. Carlo Becattini, che per l’ennesima volta ringrazio per avermi permesso di esporre un suo gioiello nella modesta vetrina delle carte carbone, già dal titolo “Piccole Parole” infonde un senso di acerba ed illusoria intimità retaggio della stagione dell’innamoramento. Poi la poesia prosegue dolcemente, quasi sussurrata, con delicati riferimenti al gioco, agli adolescenti, ad un cielo colmo di speranza, tutti elementi che risultano, per i protagonisti della narrazione, “sconvolgenti”, pur rimanendo nell’ambito dell’innocenza espressiva e nel tepore immaginifico ricamato dallo scrittore toscano. Ritengo che la peculiarità di Carlo Becattini, sia quella di avere il governo e il controllo delle sue sconfinate capacità tecniche, per poterle incanalare in una condivisione collettiva e non elitariamente snob, come tanti scrittori finiscono per fare. Ma quella è un’altra storia che non si può raccontare con le “Piccole Parole”. (Filippo Fenara)
La mia breve prefazione comincia con un accorato ringraziamento a Carlo Becattini, che spesso e generosamente ha “prestato” le sue poesie trasognanti e la sua magnificente prosa agli spazi virtuali di LeMieCose, generando stupore, complimenti e stima nei lettori per il suo scrivere capace di trasformare il sogno in sensazioni positive, incoraggianti e romantiche. “Vorrei” è in realtà quello che si auspicano le anime gentili per il futuro, raccontato con l’usuale levità e comprensibile prosa di Carlo Becattini, del quale consiglio di seguire il blog “Poesie Stralciate“, fucina di scritture ad altissimo livello. Buona lettura.
Gli scritti di Carlo Becattini, sia in poesia che in prosa sono, come dicevano gli speakers delle radio libere un po’ di tempo fa, “i più richiesti dagli ascoltatori” (ovviamente lettori, in questo caso) sulle frequenze di Le Mie Cose. Lo capisco, lo scrittore toscano è un po’ il “mio” asso nella manica, potrei tranquillamente scegliere ad occhi chiusi tra le tracce del suo sconfinato repertorio con la matematica certezza di riuscire ad incantarmi e ad incantare i followers di questo blog a cospetto del suo scrivere nitido, scorrevole, compito: il suo talento che più mi lascia sbalordito è la capacità di creare una connessione intima, come se ognuno di noi fosse l’unico destinatario delle sue lettere, protagonista assoluto delle poesie e coinvolto in prima persona dai suoi racconti. Augurandovi una serena notte, vi lascio quest’incanto di missiva che, come da copione, vi entrerà sommessamente sotto il petto. (Filippo Fenara)
“Fiorisce Nel Buio Dell’anima Il Fiore Più Bello” sottotitola il blog Poesie Stralciate. Ma non sono d’accordo, forse esistono diverse tipologie di buio, alcune più fertili, altre completamente improduttive, se non nocive. Cose da filosofi. Tant’è che le meravigliose infiorescenze che hanno salde le radici nell’anima, probabilmente buia, di Carlo Becattini custodiscono il segreto dell’unicità, sono fragranze curative, lenitive, oniriche ma con i piedi per terra; da quando ho la fortuna di poter leggere i componimenti (in prosa o poesia) di quest’illuminato autore, la mia anima strappata ha trovato ristoro, ho riconosciuto il volto della rinascita attraverso la fine, ho dato un posto caldo alla speranza dentro il mio cuore ed è per questo che, sinceramente, sono profondamente riconoscente alla luce scaturita dall’oscurità di Carlo Becattini. Condividere con tutti voi ad inizio anno questa sua ennesima eclatante poesia è l’unico buon proposito che mi sono proposto, il resto, come è stato per me, verrà da sè. (Filippo Fenara)
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Carta Carbone: “Sembra Ieri” di Carlo Becattini Posted at 18:00 by Filippo Fenara, on Febbraio 18, 2021 Avessi il tempo e la possibilità, dovrei dedicare un blog intero a Carlo Becattini. È uno di quei poeti illuminati che non sbaglia un verso, una parola, una delle sue sceneggiature immaginifiche che riproducono il sogno con una fedeltà superiore a quella riportata dai cinque sensi. Che scriva d’amore, della natura o che si muova in spazi onirici con una semantica fatta di simbologie lessicali, sembra sempre essere a suo agio e si trasmette con un’intensità notevole che, non solo a detta mia, arriva direttamente al cuore, bypassando il cosciente. In questa breve elegia dallo sfondo post apocalittico riesce a togliere il fiato, a far provare sensazioni gelide ma straordinariamente vere. Da non perdere. (Filippo Fenara)
Io, sebbene lungo il mio percorso scolastico sia stato un discreto somaro, mi ritengo, senza piaggerie e sviolinate, un attento alunno di alcuni autori che ho eletto “a pelle” come fari nel mare in tempesta della letteratura contemporanea. Tra questi c’è sicuramente Carlo Becattini del quale, oltre a non avere le competenze necessarie per dibatterne la tecnica sopraffina, ho incamerato attraverso il tempo l’etica umana e l’umiltà della quale mancavano i professori e maestri che avrebbero dovuto “educarmi” alla bellezza. Non credo sia un segreto che, dopo un paio d’ingenue partecipazioni ormai anni fa, ho capito che la competizione scrittoria dei contests e dei concorsi è una grottesca scimmiottatura della dignità contenutistica degli autori a scopo di lucro, non nascondo nemmeno di aver visto sempre nell’autoproduzione (dopo aver sofferto cocenti delusioni in ambito musicale) e nella disintermediazione editoriale il mezzo di profusione più genuino di saggi, libri, album musicali e opere artistiche in genere. Questo proemio per dimostrare la mia estrema gratificazione nell’incontrare affinità di pensiero in questo testo di Carlo Becattini che, con categorica lucidità, già nel 2019 denunciava con un’elegante ma perentoria invettiva quello che ad oggi è diventato il mostruoso mercimonio artistico virtuale, incoraggiato dalla modalità speculativa degli algoritmi avidi dei social e perseguito da arrivisti senza scrupoli scevri di talento alcuno. Lo scritto di denuncia, l’invettiva, il “dissing”, benché siano stati estromessi dal glitterato contesto del “poeticamente corretto”, hanno assolutamente ragione d’esistere e considerarli come un gesto di supponenza ed immodestia significherebbe soffermarsi a guardare il dito e non la luna. La verità fa male solo a chi vive di finzione. (Filippo Fenara)
Il mondo virtuale della scrittura contemporanea rispecchia la democrazia individualista che permea l’umanità: i numeri mistificano tutto ciò che è mediocre glitterandolo e ponendolo sotto gli accecanti riflettori di un potere impuro, il merito oggettivo viene immolato sull’altare di una libertà coercitiva legata all’arricchimento economico, alla visibilità, al mero e torbido. Carlo Becattini si muove invece, a mio parere, sul lato rilucente della medaglia, è un solista che silenziosamente sale sul palco di una jam session luciferina e caotica, inumidisce l’ancia e, senza la vanagloriosa necessità di ostentarsi, soffia sul foglio poche note, rarefatte ma nitide, nette, quelle che fanno sentire il sapore del cosmo, emozioni che si fanno accarezzare come il dorso liscio di gatti lessicali, rilascia l’essenza del Maestro che non si siede dietro la cattedra ma si accomoda in fondo alla classe in una zona d’ombra. “A Cuore Aperto” è un assolo che s’armonizza con l’orchestra dei sentimenti senza per questo volerne arrogantemente spiccare. Per me Carlo Becattini, come canta Paolo Conte, “…e dentro l’anima per sempre resterà”. Silenzio in sala. (Filippo Fenara)
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Giunto alla fine di questo articolo anomalo, più personale che da condividere, che dire se non: grazie Filippo per questo bellissimo regalo che porterò per sempre nel cuore, unitamente al tuo ricordo. Sei riuscito a capirmi e a dipingermi così come sono.
Vi anticipo la programmazione televisiva del 21 luglio: sul canale Nazionale, tra eventi eccezionali come: Due uomini sulla Luna e, bassezze/amenità umane quali: la Moda Lunare e Mago Zurlì sulla Luna (rabbrividisco), seguiranno il Concerto alla Luna effettuato da un Branco di Lupi e l’attesissimo Decollo dalla Luna.
Avete giusto il tempo di cenare e potrete vedere un bellissimo film americano intitolato: XX secolo (del 1934), sempre e rigorosamente in bianco e nero, ossia nei colori con cui siete abituati a vedere il mondo.
Infine il Telegiornale, per andare a letto felici e meditare sul vostro futuro a colori, fatto di viaggi spaziali, elaboratori elettronici, pillole come cibo ingoiate con avidità nei vostri piccoli loculi che chiamerete casa.
Nel caso non amiate la scienza ma la cultura, potrete sempre volgere la vostra attenzione sul Secondo canale dove, oltre al Segnale Orario e al Telegiornale, ci sarà la trasmissione: Incontri 1969, Itinerario di una poesia.
Infine, per rendere ancora più emozionante ed elettrizzante la serata, potrete vedere (in bianco e nero) e ascoltare (in modalità mono) un Concerto Sinfonico.
Buonanotte e mi raccomando, alle 23,30 spengete la luce e tutti a nanna.
Come forse vi sarete accorti il blog Poesie Stralciate non esiste più perché l’ho cancellato.
Non chiedete le motivazioni di tale gesto perché non le so neanche io, so per certo che adesso mi sento meglio e sono contento di dover ricominciare tutto da zero (questa è la terza volta dal dicembre 2014, anno del primo blog).
Il nuovo si chiama Fiorisce nel Buio, ripreso da una una mia vecchia frase che recitava: Fiorisce nel buio dell’anima il fiore più bello.